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venerdì 29 febbraio 2008

Salari, diritti e lavoro sono roba vecchia: la modernità è tornare agli anni '50?

La Sinistra Arcobaleno ha presentato il suo programma di governo e subito si è aperta una forte polemica. Nel mondo politico, nei giornali. Perché? Per il semplice motivo che questo programma è costruito non su frasi fatte e speranze vaghe, ma su proposte, concretissime, che possono portare ad altrettanto concretissime conseguenze: lo spostamento di ricchezza e di diritti dall'alto verso il basso. Cioè l'inversione del processo economico sociale che negli ultimi 20-25 anni ha profondamente trasformato il nostro paese, aumentando in modo spaventoso le differenze economiche e l'ingiustizia sociale, e creando fortissime sacche di povertà. I dati li conoscete ormai tutti: dal 1980 ad oggi lo spostamento di ricchezze dai salari verso i profitti (e le rendite) è stato "ciclopico". Circa la metà delle ricchezze che finivano in salari e stipendi ora finiscono in profitti e rendite. E mentre succedeva questo stravolgimento economico non c'era uno stravolgimento sociale, cioè restava immutato il numero dei salariati (e stipendiati). Il programma del Pd, e quello di Berlusconi, prendono atto di questa situazione ma non propongono nessuna soluzione. Anzi propongono di aiutare gli imprenditori e, in cambio, chiedere loro di stornare una parte dei loro eventuali maggiori introiti ai lavoratori. Tutte le ricette "Veltrusconiane" vanno in quella direzione: aumenti salariali agganciati all'aumento della produttività, manovra fiscale sugli straordinari. Che vuol dire? Semplice: se tu, operaio, lavorerai di più, produrrai di più, farai più straordinari, e in questo modo permetterai al padrone di guadagnare sul tuo lavoro - poniamo - non cento ma centoventi "denari", di questi venti denari in più, due o tre andranno a te. Contento? In questo modo la tendenza ad aumentare ancora il divario tra ricchi e poveri, tra salari e profitto, si rafforza.
Il programma dell'Arcobaleno è l'unico ad andare nel senso opposto. Come? per esempio con due proposte molto serie, e che possono essere realizzate direttamente dal Parlamento e dal governo. Prima proposta, un nuovo meccanismo di indicizzazione dei salari (e cioè, quando aumentano i prezzi automaticamente aumentano anche le buste paga); seconda proposta, salario sociale, che vuol dire protezione dei precari, dei lavoratori molto poveri e dei disoccupati o inoccupati. (Negli articoli che pubblichiamo qui sotto sono spiegate queste due idee).
Perché queste proposte hanno suscitato l'ira funesta (per esempio del «Corriere della Sera», editoriale di De Vico, per esempio di «Repubblica», editoriale di Giannini, e soprattutto della «Stampa», editoriale di ieri di Riccardo Barenghi)? Perché rischiano di aprire davvero una discussione concreta - e non parole al vento e promessucce fiscali - sulla grande questione salariale e dell'equità sociale.
Qual è l'accusa che viene rivolta alla sinistra (che loro chiamano radicale, ma francamente queste due proposte sono assolutamente riformiste, e probabilmente piacerebbero parecchio, ad esempio, a Filippo Turati e forse a Pietro Nenni...)? Di essere retrò. Vecchia. Riccardo Barenghi, ieri, sulla «Stampa», è molto esplicito: tornano i comunisti, tornano le proposte di 25 anni fa, torna la scala mobile: ohi noi ohi noi!!!
Davvero proporre il rilancio di una politica dei diritti (che sicuramente ebbe il suo apice nelle lotte operaie e sociali degli anni '60 e '70, guidate dai comunisti, dai socialisti e dalla dottrina sociale cristiana), è una grande arretratezza? E davvero, invece, è modernità, proporre un modello di relazioni industriali simili a quello che negli anni '50 era stato imposto dalla Fiat del mitico presidente Vittorio Valletta, che quasi aveva abolito i sindacati e che impose feroci politiche di contenimento dei salari? Non riesco a capire secondo quale ragionamento i cupi anni '50 (che piacciono al Pd e a Berlusconi, e ai grandi giornali, e a Confindustria e , immagino, anche alla Chiesa di Ratzinger), siano così moderni e gioiosi. Mi viene il dubbio che se qualcuno di noi dovesse dire "libertà, fraternità e uguaglianza", qualcun altro gli risponderebbe: «Sei un vecchio rincoglionito che guarda ancora al Settecento... Possibile che non capisci che ormai è il tempo del Re Sole?»

Piero Sansonetti - "Liberazione" del 29 febbraio 2008

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